domenica 3 maggio 2015

Arrivederci Ken…

La storia editoriale di Ken Parker è da poco terminata, con la pubblicazione di “Fin dove arriva il mattino” (Mondadori Comics). Uno dei fumetti più attesi di quest’anno: racconto inedito e conclusivo di una saga molto amata dal pubblico, realizzato dalla coppia di autori che la ideò nel lontano 1977 (Giancarlo Berardi ai testi e Ivo Milazzo ai disegni).
Prima di parlare dell’ultima avventura è bene ripercorrere la storia del personaggio.

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Il rapporto fra Ken Parker e le edicole non fu certo un amore a prima vista. "Lungo Fucile" (come viene spesso chiamato il protagonista) faticò a conquistarsi una propria fascia di pubblico e, nonostante l'alta qualità della serie, finì nel limbo editoriale per diventare fenomeno di nicchia, amatissimo da una ristretta schiera di fans.

Ken Parker è un fumetto western, e forse proprio questo fu il tallone d'achille della serie: molti superficialmente accostarono, anche a causa del tipico formato bonelliano, il biondo trapper a Tex: niente di più sbagliato. In effetti un ostacolo che Giancarlo Berardi affrontò nell'approccio alla nuova serie fu la sostanziale ripetitività dei temi western, già all'epoca proposti in tutte le salse. Proprio per questo, constatando in sostanza che il genere aveva esaurito le sue risorse in termini di novità presentabili (gli attacchi degli o agli indiani, le rapine alle banche, i ladri di bestiame ecc) l'autore scelse di variare il punto di vista con cui queste situazioni venivano affrontate.

Segno distintivo di Ken Parker furono comunque le tematiche affrontate: dal razzismo allo sfruttamento, dalla condizione femminile di fine '800 allo smarrimento dell'uomo comune di fronte ai cambiamenti epocali che andavano delineandosi, fino ad aspetti più intimisti, con incursioni nel teatro e nella letteratura. Argomenti tutti inseriti con abilità e coerenza nello scenario western classico. Il "selvaggio ovest americano" nelle vicende di Lungo Fucile è soprattutto uno sfondo, dipinto in maniera dettagliata e senza concessioni alla retorica o alla manichea divisione fra buoni e cattivi. E il protagonista non è il classico eroe senza macchia e senza paura. Non è nemmeno un duro hollywoodiano e ama leggere, destreggiandosi bene fra i versi di Walt Whitman, l'Amleto e "Il Capitale".

Altra importante innovazione portata da Berardi e Milazzo nel fumetto italiano fu la non staticità della serialità. Mentre i personaggi dei fumetti di quegli anni passavano da un'avventura all'altra restando più o meno immutati, nella sua serie Ken cambia città, lavoro, amici, invecchia. Sposa una donna indiana, in seguito uccisa durante un'incursione di soldati americani, e adotta il figlio che la donna aveva avuto da un precedente compagno.

Molte sono le influenze cinematografiche della serie, nei testi come nei disegni (la composizione delle tavole è spesso "contaminata" da influenze cinematografiche). Questo a cominciare dai tratti somatici del protagonista (il Robert Redford di "Corvo Rosso") per proseguire con l'ambientazione generale (che ha molto in comune con "Il piccolo grande uomo") e con i bizzarri incontri di Lungo Fucile, che durante le sue avventure incrocerà il suo cammino con Totò e Poirot, marcerà assieme a dei lavoratori che sembrano quelli di Pellizza da Volpedo, stringerà amicizia con Nanuk (versione fumettistica del Dersu Uzala di Kurosawa), e flirterà con Marilyn Monroe.

Ken Parker fu anche una sorta di "palestra per talenti" per artisti che in seguito si distinsero e arrivarono alla notorietà, nella "Bonelli" e altrove. Se infatti la serie è nota per il team artistico dei citati Berardi e Milazzo, ad impegnarsi nelle avventure di Lungo Fucile troviamo pure Alessandrini, Trevisan, Marraffa e molti altri.

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Veniamo dunque a “Fin dove arriva il mattino”.
Se “Ken personaggio” è stato assente dalle edicole per molti anni, anche il “Ken uomo” è, nella realtà narrativa, da tempo lontano da una vita normale: è stato rinchiuso in carcere per vent’anni per avere ucciso un poliziotto, durante la repressione di uno sciopero.
Il nuovo episodio presenta due vicende, narrate in parallelo. Nell’attualità, Ken è sessantenne. Acciaccato nel fisico e indebolito nello spirito, è uscito di prigione per un indulto. Compie un viaggio assieme ad alcuni rapinatori. Col gruppo sono presenti due donne rapite dai malviventi, madre e figlia, che subiscono gli abusi sessuali dei rapitori.
Nel flashback, viene invece raccontato un episodio della detenzione del protagonista. Una storia che ci fa capire quanto sia stata drammatico il periodo vissuto in carcere, e quanto (anche in quelle atroci condizioni) il protagonista sia rimasto fedele ai propri principi morali.

(Una descrizione vaga, l’ammetto, ma non voglio rovinare il piacere della lettura a chi volesse procurarsi il volume. Ma è bene precisare che NON è possibile parlare di questo episodio conclusivo senza anticipazioni. Per cui invito chi volesse leggere “Fin dove arriva il mattino” a NON proseguire oltre in questo articolo…)

Nell’attualità, il lettore viene inizialmente sorpreso dalla “arrendevolezza” di Lungo Fucile, che sembra addirittura complice dei rapitori. In realtà, scopriremo nel finale, Ken è consapevole della propria debolezza e sta aspettando solo il momento propizio…
Ha dovuto stringere i pugni per non reagire alle violenze che vedeva commettere dai suoi ex compagni di galera (troppi, e più giovani di lui). Ha visto le condizioni delle due donne rapite. Ha visto la più giovane, Frances, addirittura “innamorarsi” del proprio aguzzino (e qui spunta il solito Ken: non giudica, non condanna…).
Ha sopportato tutto perché non è nelle condizioni di salvarle: deve aspettare il momento giusto e qualche inaspettato alleato… Riesce nell’intento, ma subito dopo muore, ucciso da una circostanza crudele e paradossale: un proiettile sparato dalla ragazza, appena liberata. Una realtà resa più crudele dal fatto che subito dopo la madre compie un gesto necessario ma ancora più spietato, uccidendo la figlia.

Lo stile di Berardi e Milazzo è il solito. Asciutto, tagliente nei dialoghi ed ancor più nell’intensa durezza dei disegni. TUTTA la saga di Ken Parker è stata amata proprio per il suo realismo. Il protagonista non è, come accennato prima, un eroe perfetto, invincibile e senza macchia. E’ un uomo inquieto, invecchiato, fisicamente fragile e stanco. Che ha già vissuto momenti duri e tragedie. Che ha già dovuto prendere decisioni difficili e strazianti.
Ken muore perché accade a tutti di morire. Ricordandoci che, nel fumetto come nella realtà, si può morire in modo crudele e imprevedibile. E, come il “solito, vecchio e amato Ken”, affronta la fine con commovente dignità.
Chi, legittimamente e in nome dell’amore per il personaggio, ha sperato in un lieto fine sappia che non poteva che morire così. Non semplicemente “dopo l’ennesima avventura”: la conclusione della sua vicenda umana non poteva essere consolatoria o “celebrativa del mito”.

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Un breve cenno alla vita editoriale di "Lungo Fucile".
La serie originale durò 59 numeri. Dopo l'interruzione, Ken Parker è stato protagonista di alcuni speciali ("Un principe per Norma", "Dove muoiono i Titani", "Un alito di ghiaccio", "Il respiro e il sogno"), pubblicato su riviste antologiche (“Orient Express”, “Comic Art”), e poi su una nuova iniziativa editoriale autonoma ("Ken Parker Magazine", 36 numeri).

Oggetto di diversi tentativi di ristampe ("KP Raccolta", "KP serie oro", "KP serie oro raccolta", nessuna completa), con “Ken Parker Collection” (Panini Comics, 42 volumi) ha avuto una ristampa finalmente integrale, che però si fermava a “Faccia di Rame”. Nella recentissima iniziativa di Mondadori Comics (50 volumi) la serie ha trovato, come accennato, una nuova ristampa e la propria conclusione, con l’inedito “Fin dove arriva il mattino”.

Francesco "Baro" Barilli

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