venerdì 19 luglio 2013

Una sera passata ascoltando Gipi… e strane emozioni…

(sì: violando ogni manuale di "buona scrittura" comincio con una parentesi. Ieri sera ero alla festa dell’Arci di Cremona, per ascoltare Gipi. Ho letto molti suoi libri – che consiglio vivamente a tutti. Non avevo ancora visto i suoi cortometraggi, e ieri ho capito d’essermi perso qualcosa: li recupererò. Non l’avevo mai sentito parlare in pubblico, m’ha fatto una bella impressione: uomo diretto, artista lucido – che utilizza diverse forme espressive, sempre con originalità. Grande artista e bella persona, insomma. E tutto questo vale come consiglio per chi, fra quanti mi stanno leggendo, non lo conoscesse. Uno dei suoi cortometraggi ieri sera m’ha sconvolto – non è un’esagerazione: ci sono stato male tutta notte. E volevo parlarvene. Fine della parentesi).

Nel corso della serata è stato mostrato “A 1562 persone piace questo elemento”. (Potete vederlo qui). Il video è un collage di commenti realmente apparsi in rete un paio d’anni fa, all’epoca in cui l’omicidio di Sarah Scazzi occupava le prime pagine dei quotidiani e in generale l’apertura di ogni media mainstream. A quel tempo si pensava di aver individuato l’omicida nello zio (sviluppi processuali successivi hanno buttato al macero l’ipotesi; ma questo non c’entra nulla con l’argomento di cui voglio parlare oggi: sull’omicidio di Sarah Scazzi chi vuole può trovare facilmente informazioni).

Il caso ha voluto che ieri sera, poco prima della serata a Cremona, io avessi postato un brevissimo commento su Facebook su un fatto simile. Per chi non lo sapesse, recentemente dalle mie parti si è parlato molto del mortale investimento di una giovane ragazza da parte di un automobilista. Pochi giorni fa il “pirata della strada” (virgolette volute: non mi piacciono queste etichette; penso siano il primo sintomo di un’informazione che volutamente intende "creare il mostro", da Valpreda in poi) s’è costituito: un cittadino di origine marocchina. Dunque, proprio ieri m’era capitato di ascoltare al bar commenti simili a quelli ricordati da Gipi nel suo video sullo zio di Sarah.
Quei commenti ve li risparmio. Peraltro, molti sono analoghi a quelli “copincollati” da Gipi nel suo video sui fatti di Avetrana: “dovrebbero ammazzarlo”, “dovrebbero darlo a me”, “torturarlo”, “il carcere non serve”… Cose del genere, insomma; con in più qualche chicca sull’etnia del “pirata della strada” che vi lascio immaginare.

L’analogia m’ha colpito molto. Il punto è che Gipi nel suo video ci mostra commenti di gente sconosciuta, pubblicati su facebook, dove “il mezzo” a volte può essere (sia chiaro: questa NON è una scusante né un’attenuante) un filtro che porta certi individui a mostrare il proprio lato più becero, quasi queste persone abbiano dentro una dose di cattiveria che, da qualche parte e in qualche modo, deve uscire.
Io invece ho ascoltato gli stessi commenti da parte di uomini e donne che conosco, pur se solo di vista. L’ho detto tante volte: lavoro in un piccolo paese della “profonda padania”, dove ci si conosce quasi tutti. Alcuni di quelli che ho sentito magari hanno un vicino di casa nordafricano con cui hanno rapporti cordiali. Eppure, eccoli lì davanti a un caffè, a inveire senza filtro contro “l’assassino extracomunitario”.

In momenti e forme diverse la testimonianza di Gipi e la mia si accomunano. Entrambi abbiamo toccato con mano “la banalità del male”… Anzi, più che di banalità potrei parlare di “quotidianità del male”. Citando a braccio il mio amico Manuel: dentro di noi c’è qualcosa che può farci scavallare il limite, precipitandoci nella brutalità, nell’inumanità, facendoci perdere la capacità di vedere “nell’altro” lo specchio di noi stessi, di un’origine umana comune… E, paradossalmente, proprio il mio cercare di vedere me stesso “nell’altro” m’ha portato a chiedermi se anche in me ci sia – potenzialmente – lo stesso virus dei forcaioli che pontificano (su facebook o al bar).

Per un attimo ieri sera ho sentito il suono di un’umanità che dimentica la propria essenza, il pudore dell’esistenza, la consapevolezza della sua fragilità, la consapevolezza di quanto sia folle chi crede che nella propria vita non avrà mai bisogno della pietà altrui. Più che non piacermi, m’ha terrorizzato. Poi passa, lo so…

Francesco “baro” Barilli

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