martedì 9 luglio 2013

Sulla visita del papa a Lampedusa

Già prima della visita di Bergoglio a Lampedusa avevo scritto un breve commento su Facebook, dicendomi piacevolmente sorpreso dalla scelta. Avevo aggiunto pure una cosa passata abbastanza sotto silenzio, ossia le decisione di sbloccare la causa di beatificazione di monsignor Romero.
Prima e dopo la visita si sono succeduti altri commenti. Per lo più positivi. Alcuni, invece, hanno (legittimamente) sollevato dubbi. Secondo questi ultimi il gesto del papa sarebbe – o potrebbe essere – opportunista, insufficiente, “di facciata” eccetera.

Personalmente mi limito ad aggiungere poche cose.

- Da agnostico, non m’aspetto nulla dalla chiesa cattolica. La ritengo un centro di potere interessato principalmente alla propria autoperpetuazione e ai propri interessi, alla stregua di qualsiasi multinazionale (seppure sui generis). Il giudizio su singole azioni di singole persone può, ovviamente, essere molto diverso.

- Qualsiasi gesto può essere mosso da mille motivi (o da una pluralità di motivazioni, in parte etiche e in parte “pratiche”). Quando, però, quel gesto viene da chi è ritenuto da molti un’autorità morale a cui il proprio “sentire” deve relazionarsi, il gesto stesso va valutato per le implicazioni pratiche che può produrre.

- Ricordo bene i titoli di quotidiani come Libero o Il Giornale all’epoca del dibattito sul reato di clandestinità, sui CIE e sui tempi di detenzione in tali strutture. L’ho già scritto in passato: vivo nella “padania più profonda”, dove fino a ieri sparare sui barconi veniva ritenuto da tanti quasi una necessità; nel migliore dei casi, una “dolorosa” necessità. E questo avveniva, piaccia o meno, grazie all’indifferenza della chiesa rispetto a tali questioni. La chiesa cattolica (non lo scopro certo io né lo si scopre ora) influenza pesantemente NON SOLO il dibattito politico, ma il “sentire comune” in fatto di ciò che potremmo definire “scala di priorità” o “scala dei valori”. Tant’è vero che, in materia di “fine vita”, di aborto, di unioni civili, spesso si è sentito parlare di “valori non negoziabili” (“non negoziabili” per i cattolici, s’intende). Accoglienza e solidarietà sembravano sparite dall’agenda. Sembra che, d’ora in poi, non debba essere più così, e ne sono contento…

- Il 4 gennaio 2007 scrissi un articolo per Liberazione, dopo il rifiuto della concessione di esequie religiose a Piergiorgio Welby. Ne riprendo un passaggio, rielaborandolo: “Mi sembra che si possa parlare, più che di radici cristiane, della rivendicazione di una iconografia che supporta certi valori a scapito di altri, che pure dovrebbero far parte del patrimonio della cristianità. Appare paradossale (e, per dirla tutta, un po’ inquietante) la difesa del presepe o quella del crocefisso in luoghi pubblici (o, meglio: appaiono paradossali le energie spese in queste battaglie) di fronte alla sparizione di termini quali carità o solidarietà. Stupisce che, nelle varie rivendicazioni da parte dei cosiddetti teo-con, il no alla pena di morte o alla guerra non vengano mai inseriti fra le priorità, fra le “radici cristiane” da rivendicare. Questo porta a chiedersi se il vero obbiettivo degli autonominatisi difensori dell’ortodossia cristiana non sia in realtà una riscrittura in chiave revisionista del messaggio cristiano, una riscrittura che accantona le parti più autenticamente progressiste, se non addirittura rivoluzionarie, di quel messaggio, a favore di regole evidenziate a posteriori da gerarchie ecclesiastiche più interessate a mantenere il potere costituito che non a porlo in discussione. Un’azione che mi sembra non tanto, come si vuol far credere, rivolta ad esercitare direttamente una pressione sulla società, ma a vincere una prova di forza interna alle diverse anime del cattolicesimo, per esercitare successivamente quella pressione. In altre parole, mi sembra sia in atto una battaglia per l’egemonia culturale interna al mondo cattolico. Una battaglia che sfrutta un momento storico particolare che ha reso, all’interno di quel mondo, più flebile la voce della componente che possiamo chiamare progressista, rivitalizzando invece la voce dei teo-con”. Forse le sorti di questa battaglia interna al mondo cattolico (“interna” ma che, stante la società in cui viviamo, non riguarda solo i credenti, ma tutti noi) stanno cambiando…

- Vedere che nel lessico comune dei quotidiani, da ieri, “migranti” ha ripreso il posto di “clandestini” può non essere un grande risultato, se resta solitario. Ma è già qualcosa. Del resto, ammoniva Claudio Lolli, “la semantica o è violenza oppure è un'opinione”.

- Leggo che Magdi Allam e Cicchitto “rosicano” per la visita a Lampedusa. Questo risultato è sicuramente inferiore al precedente, e riguarda più me che i migranti. Ma, concedetemelo, la vita è fatta anche di piccole soddisfazioni…

Francesco “baro” Barilli



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