giovedì 21 marzo 2013

2 per 3 (due parole su 3 canzoni di “mala testa”, di Alessio Lega)

Da pochi giorni ho in mano (e nello stereo…) “mala testa”, il più recente cd di Alessio Lega.
Questo commento avrei voluto scriverlo meglio. Ma ci sono cose che diventano (o “si sentono”) urgenti da dire; talmente urgenti che scriverle di getto è l’unico modo di fissarle, di dare loro forma, anche a costo del possibile successivo rammarico da “potevo scrivere di più; potevo scriverlo meglio”. Tre canzoni di “mala testa” sono, per me, tre di queste urgenze: sono contento di scriverne ora, senza pensarci troppo, senza aspettare che anche sulle altre (pure bellissime!!! E una menzione, intanto, va a “Spartaco” e all’intima “i baci”) maturi il tempo per un giudizio completo. L’unico “ordine” che darò a questo pezzo è quello in cui i tre brani compaiono sul cd.

Frizullo
Nato nel 1952 e morto nel 2003, Dino Frisullo è stato militante della sinistra alternativa (cominciando con Avanguardia operaia) e poi attivista nel campo dei diritti umani e della solidarietà, in particolare nelle lotte degli immigrati. E’ stato anche molte altre cose, fra cui “giornalista militante”, collaborando con Manifesto e Liberazione.
In rete ho trovato questo breve commento, molto calzante, in sua memoria: “Compagni come Dino Frisullo, forse verranno ricordati diversamente quando saremo in un Paese diverso, quando vivremo in un contesto in cui saremo capaci di vergognarci del nostro egoismo, del nostro razzismo diffuso, dell’ignoranza che ha accompagnato le nostre vite”.
Quel commento è anche un monito, assai amaro, verso lo stato in cui versa la memoria in questo Paese, dove un tronista è più ricordato (e, ciò che più conta, seguito e ascoltato…) di un uomo come Frisullo…
E’ quindi particolarmente azzeccata, per vari motivi, l’idea di Alessio di ricordarlo in questo suo lavoro, dove la splendida “Frizullo” è il brano di apertura.
Non aggiungo altro: lascio a voi ascoltare la canzone. E chiudo con questi versi, che mi fanno venire i brividi ad ogni ascolto e che spiega pure perché il cognome viene affettuosamente “storpiato” (con la Z):
Dino Frisullo era dietro tutti i migranti, sempre presente
fu arrestato in Turchia e condannato, innocente
ma di quell’innocenza aggressiva, che non è una consolazione
e quando fu liberato tornò in trincea con quel nome…
Che perciò i kurdi se lo scrivevano sul fianco d’ogni barcone
“Frizullo”, “Firosillo”, insomma: grande protezione
e mentre un tumore se lo portava in un lampo
aveva l’aria scocciata come per un contrattempo.


Matteotti
Siamo nel 1937: Matteotti è stato ucciso il 10 giugno 1924, 13 anni prima. Pochi si ricordano di lui, il fascismo ha vinto. Ha vinto culturalmente e “antropologicamente” prima che politicamente: ha stabilito la propria supremazia nel corpo della società, “nella pancia” degli italiani…
Se ci pensate, non è una situazione molto diversa dall’attuale. Il fascismo, secondo commentatori che non voglio commentare, “avrebbe fatto anche cose buone” e – semmai – la sua degenerazione sarebbe partita solo dalle leggi razziali in poi… L’opera mediatica di revisione del fascismo più che a revisionismo storico assomiglia all’imbiancatura di una facciata, sotto cui si intendono celare le magagne di un edificio: il fascismo non sarebbe stato una dittatura spietata ed assassina; non avrebbe sistematicamente seminato orrore e morte per conquistare e mantenere il potere per vent’anni; non avrebbe praticato assassini di massa con le guerre coloniali e assassini politici (Matteotti e non solo…); non avrebbe spinto il Paese nella tragedia del secondo conflitto mondiale…
Ho molto apprezzato la scelta di Alessio: parla di Giacomo Matteotti senza farlo apparire. Racconta di un padre che, nel 37, darà a suo figlio il nome Giacomo: un modo intelligente e poetico per tornare a parlare di Matteotti in quel 1937. Credo sia davvero ora di farlo pure oggi, e che dovremo farlo ancora spesso, in futuro. Tutto questo perché (chiudo con le belle parole di Alessio)…
… Così io quando chiamerò mio figlio a voce alta
ricorderò che c’era, che ci sarà ogni volta
qualcuno che con gli occhi fissi nel buio triste
guarda la morte in faccia, la guarda e le resiste.


La piazza la loggia la gru
Fra il 15 e il 16 novembre 2010 a Brescia giunsero a conclusione, o almeno a uno snodo cruciale, due vicende diverse fra loro. In quell’autunno da alcune settimane 6 operai (due pakistani, un marocchino, un egiziano, un senegalese e un indiano) erano saliti sulla gru di uno dei cantieri della metro di Brescia, in piazza Cesare Battisti. Stavano lottando non solo per se stessi, ma per le migliaia di migranti a rischio di espulsione per la “sanatoria negata”. Stavano lottando per i loro diritti (e, in fondo, anche per i nostri: quando si combatte per i diritti, si dovrebbe sempre ricordarlo, lo si fa “per i diritti di tutti”…).
Vinti dalle condizioni di vita proibitive sulla gru, gli operai scesero mano a mano al suolo. Gli ultimi che ancora resistevano lo fecero il 15 novembre. Il 16, la corte d’Assise bresciana emise il verdetto di primo grado sulla strage di Piazza della Loggia, avvenuta il 28 maggio 1974 durante una manifestazione indetta in risposta a episodi di violenza neofascista. Gli imputati furono tutti assolti (sentenza ratificata in appello il 14 aprile 2012; attualmente siamo in attesa del giudizio in Cassazione): l’ennesimo sfregio per le 8 vittime di Piazza della Loggia, simile a una vergognosa pietra tombale.
Due storie distanti, per tematiche e contesto temporale. Sembrerebbero avere come solo comune denominatore la città in cui sono avvenute…
Eppure tracciare un parallelo non era impossibile. La più recente è una storia piccola e attuale, sospesa a 35 metri dal suolo, dal resto di un’Italia che preferirebbe non vederla. La più antica è appesa a un passato di quasi 39 anni fa (36 nel 2010). Ma anche questa sembra sospesa a tanti metri di altezza, lontana dagli occhi e dal cuore del Paese.
Nei ringraziamenti in coda a “Piazza della Loggia vol 1. Non è di maggio” io e Matteo Fenoglio citavamo proprio Alessio: “Per la sua amicizia e per la sua canzone, in cui ha saldato, come abbiamo cercato di fare noi, la vicenda dei sei migranti e la strage di Brescia, creando un ponte ideale fra vicende lontane nel tempo ma solo apparentemente lontane nel contenuto, ed entrambe molto attuali…”
Pochi giorni fa, presentando un’iniziativa nel trentacinquesimo anniversario dell’omicidio di Fausto e Iaio, citavo un aneddoto che riporto ora. Il 28 maggio 2011 ero in Piazza Loggia, nella ricorrenza. Mi colpì uno striscione: non ne ricordo con esattezza le parole, lo cito a braccio: “i lavoratori migranti sono vicini ai familiari delle vittime della strage di Brescia”. Pensai, allora, che molti italiani non avrebbero saputo/voluto vedere il filo che univa le vicende; mentre persone che a buon diritto potrebbero non avere una grande conoscenza della storia d’Italia riuscivano istintivamente a farlo… E trovai un nuovo, piccolo motivo di soddisfazione nella scelta che avevo fatto con Matteo, di raccontare entrambe quelle storie. Oggi è bello pensare che con due “modi artistici” diversi (il fumetto e la canzone) noi e Alessio abbiamo voluto testimoniare quel filo che unisce le vicende.
Posso solo aggiungere che la seconda parte della lunga canzone, in cui le 8 vittime di piazza Loggia “salgono virtualmente” sulla gru, a prendere il posto dei 6 migranti e raccontano la propria storia, è particolarmente toccante.

***

Chiudo col complimento più imbarazzato (e imbarazzante). Perché Alessio è un amico e un compagno con cui ho già condiviso molte iniziative. Ma, lo sapete, Matteo Fenoglio (autore della cover, degli interni, dell’intero progetto grafico di “mala testa”) è persino di più. E’ l’amico con cui ho lavorato e sto lavorando su Piazza Fontana e Piazza della Loggia, e con cui lavorerò in futuro su… Su qualcosa che è proprio nel cd di Ale (non dico di più e non trattenete il respiro nell’attesa: parlo di un progetto che vedrà la luce fra 3-4 anni). Dunque i complimenti a Matteo possono sembrare “di maniera” (chi mi conosce sa che non è così), ma devo farglieli: ha fatto un lavoro mostruoso, e “mala testa”, oltre che un gran disco, è un gran “bell’oggetto”, da ammirare mentre se ne si tiene in mano la custodia e lui, dallo stereo, diffonde le sue emozioni.

Francesco “baro” Barilli