mercoledì 20 febbraio 2013

A Parigi è successo che…

NOTA: questo resoconto è stato interamente scritto durante il ritorno da Parigi, lunedì 18 febbraio, prima sull’aereo e poi in treno verso casa. E’ stato trascritto al PC, volutamente senza correzioni (fatte salve alcune ripetizioni) il 20 febbraio 2013.
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Aereo del ritorno, sono già seduto. I due posti accanto a me sono gli ultimi ancora liberi.
Già 3 quarti d’ora di ritardo. “Un piccolo problema tecnico”, ha detto più volte una voce che persino il mio incerto inglese e francese ha saputo tradurre. Cosa che, per dirla tutta, non m’ha tranquillizzato – è la prima volta che volo, ci tornerò più avanti – ma neppure spaventato – sono fatalista e sostanzialmente distante dalle emozioni forti. Ma il rinvio “per motivi tecnici” ora si allunga per le due assenze.
Arrivano i ritardatari. Lei è bella. Alta, sui 30, non bellissima ma bella. Occhi azzurri, arrossati e lucidi, penso non stia bene. Lui ha una barbetta rada, mi ricorda un attore che non riesco a decifrare, accento meridionale e Gazzetta dello sport in mano. Litigano subito; o meglio, la loro sembra la prosecuzione della lite che li ha fatti ritardare; non ne afferro il motivo. E poi non è esatto dire “litigano”: lei piange, lui la incalza in modo duro. Sembra napoletano (lo dico perché così mi sembra dal suo accento; lo dico affinchè anche il contorno fissi la narrazione: l’osservazione non conta se non per quello, “nessuno stereotipo è stato maltrattato in questo racconto”). Comunque dev’essere napoletano: quando mi giro verso di lui lo vedo leggere un articolo su Cavani e Hamsick: il Napoli – apprendo – ieri ha pareggiato.
Sono uno scrittore, diosanto, dovrei fare/dire qualcosa di intelligente/utile/forte, non resisto a un pianto femminile. Ma non succede nulla, anche perché lei inforca gli occhiali da sole, mi chiede scusa (“di nulla”, risponde Hemingway) e si mette a fingere di dormire mentre l’uomo sta leggendo il resoconto dello zero a zero del Napoli (Cavani e Hamsick all’asciutto, evidentemente). Ma, in effetti, fare/dire qualcosa di intelligente/utile/forte servirebbe più a me che non a lei: nulla è successo – di grave o importante; solo le piccole aritmie emotive di un amore, probabilmente.
L’aereo prende quota in fretta. Non provo neppure quella strana sensazione di sonnolenza dell’andata, 48 ore prima…

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48 ore prima: mai viaggiato in aereo, mai andato all’estero. In generale, mai provato attrazione per i viaggi, per il “vedere posti nuovi” (“l’unico infinito che m’interessa esplorare è quello dentro di noi”). Una strana sensazione fisica alla partenza, ma è simile – accennavo prima – a un sottile capogiro da sonnolenza. M’aspettavo qualcosa di diverso. Le Alpi e le nuvole, sotto di me. Più tardi, più in fretta di quanto pensassi, la terra si riavvicina (ancora quella piacevole e straniante sensazione di leggero torpore) e Parigi – per me – comincia sul serio, con l’incontro con Giustiniano e un paninazzo contenente di tutto e di più.
Giustiniano per 48 ore sarà un ospite perfetto e squisito (nota: mai capito perché in italiano chi ospita e chi viene ospitato è definito con lo stesso termine: lui, ovviamente, è “quello che ospita”). Non saprei definirlo meglio: è italiano, vive da anni a Parigi, ma se dovessi descrivere a Manuel un parigino da disegnare in una vignetta (“seduto a un tavolo da poeta francese”) descriverei lui, coi suoi capelli bianchi, i modi calmi e sicuri, una spiccata curiosità verso tutto ciò che riguarda l’umanità (e, quindi, intendo: “tutto”…), berretto in testa e sciarpa annodata al collo.

Da qui in poi, Parigi sarà una serie di flash. Alcuni magici: li appunto tutti.

(A Parigi c’è che) in confronto all’aeroporto di Malpensa, il Charles De Gaulle è come un elefante davanti a una cacca di mosca. Né per l’uno né per l’altro la considerazione deve essere intesa come pregio o difetto.

(A Parigi c’è che) di Giustiniano ho già detto. Posso solo aggiungere un grazie, per tutto.

(A Parigi c’è anche) Haidi, di cui ho già scritto molte volte, con lei abbiamo già fatto diverse iniziative. Penso: “abbiamo portato la storia di Carlo anche qui in Francia” e mi sento stupidamente orgoglioso (noi uomini siamo sempre stupidamente orgogliosi). Poi rimodulo il mio pensiero: la storia di Carlo era già stata portata in Francia, dieci anni fa; il merito stavolta è innanzitutto di Manuel, paziente e caparbio nel dire fin dall’inizio “si può fare!”.

(A Parigi poi avviene) l’incontro in Libreria. Vedo la copertina dell’edizione italiana e di quella francese in vetrina e mi sento stupidamente orgoglioso (seconda volta nella giornata, cazzo…). L’incontro è bello e caldo, non trovo parole migliori. Strana la sensazione di parlare a tanti italiani in terra di Francia. Sorprende il fatto che molti di questi sono giovani, emigrati oltre Alpe da dieci anni o poco più: anche questo, se ci si ferma a riflettere, fa capire quanto il mondo, la società, le prospettive dei giovani, tutto sia cambiato negli ultimi tempi. C’è anche qualche francese “indigeno”. In ogni caso si tratta di una platea diversa a quella a cui sono abituato in Italia: qui trovo la sete di sapere di chi ancora sa incazzarsi, non la parziale conoscenza di chi pensa che tutto sia già scritto e perduto.

(A Parigi trovo anche) Enrica Bartesaghi. E’ una sorpresa assoluta per tutti noi: presidente del Comitato verità e giustizia per Genova, è mamma di Sara, vittima nel 2001 della notte cilena della scuola Diaz. E’ la prima volta che vedo Sara. Bella la sensazione di trovarsi a Parigi per caso. (Enrica sapeva della presentazione del libro su Carlo; io non sapevo che lei sapeva, né che lei fosse lì dalla figlia Sara, nel frattempo diventata mamma; gli anni passano, per alcuni la vita è andata avanti: bene così).

(A Parigi poi avviene) l’incontro serale: dibattito sull’austerità con Caterina Avanza e Salvo Falcone, candidati per Rivoluzione Civile. Dibattito bello e onesto. Bella la compagnia, interessanti gli interventi, ben più che piacevole l’ambiente, dove spero di tornare presto. L’unico difetto è al tempo stesso un amaro pregio: è un incontro onesto dove traspare tutto lo scarso appeal dell’operazione politica denominata Rivoluzione Civile. Mi viene in mente un aneddoto: tanti anni fa – non ricordo di preciso dove, ma era in Toscana – conobbi un vecchio partigiano. Non ricordo neppure con precisione quale dolorosa lacerazione si fosse consumata pochi giorni prima, all’interno della sinistra (fra le tante consumatesi in questi anni post Genova 2001). Ricordo però che, a proposito di quella lacerazione, il partigiano mi disse: “Sono vecchio. Ho vissuto grandi speranze e grandi delusioni. Ho mangiato tanta minestra di dado e pane vecchio: non mi scandalizza mangiarne ancora. L’unica cosa che mi fa incazzare è quando mi chiedono di fingere che sia caviale e champagne”. Rivoluzione Civile ha almeno questa qualità: nessuno la vende per caviale e champagne… In prospettiva, si tratta di un piccolo tentativo di resistere… (Resistenza Civile sarebbe stata una definizione forse più adatta).

(A Parigi scopro che) la padronanza del francese da parte mia e di Gemma è assoluta. “Sil vu plè, une baghette. Une gross baghette…”. Funziona.

(A Parigi succede pure che) aiutiamo una signora a prendere una bottiglia di vino in uno scaffale inaccessibile: l’avermi sollevato di peso per arrivare al ripiano dov’era riposta l’agognata bouteille dev’essere costata un’ernia a Manuel e strappa un sorriso all’interessata.

(A Parigi avviene poi) una disquisizione sui massimi sistemi, su Marilyn Monroe, sullo stupro e sull’arte di Tori Amos.

(A Parigi portiamo) una testimonianza davanti alle tombe di Piero Gobetti e dei fratelli Rosselli, uccisi in Francia da uno stronzo che (dicono certi…) “in fondo ha fatto anche cose buone” e sepolti a Père Lachaise (scusa Jim: verrò anche da te, un giorno, a portarti un pacchetto di sigarette).

(A Parigi ci sono anche) Notre Dame, la Torre di Saint Jacques, una libreria magica nei pressi di Notre Dame, dove ragazzi suonano al piano Chopin (secondo Gemma è Bach, mi sa che ha ragione lei) la Senna e il Centro Georges Pompidou, tante altre cose, tante altre persone (mi scuso con chi ho dimenticato…) e pure uno spropositato numero di foto che scatta Gemma (in quasi tutte faccio lo scemo: le vedrete fra qualche giorno, spero).

(A Parigi poi) Manuel si supera in due dediche STREPITOSE per Haidi ed Elena, dipinte mentre la Tour Eiffel, sullo sfondo dalla finestra di Giustiniano, si mette in mostra con le sue luci (una vecchia signora che esibisce i suoi gioielli – un po’ kitsch, devo dire – ma che sa di essere ancora affascinante). Oltre alle due illustrazioni, Manuel scrive anche una dedica per Haidi, talmente bella che la so a memoria ma non la scriverò (è sua, è loro). Dopotutto, mi dico, siamo riusciti davvero a portare gli occhi azzurri e il sorriso di Carlo fino a qui. Almeno un pezzettino…

***

Ma ora si torna al presente, in aereo…
Il ragazzo sembra sinceramente dispiaciuto. Lei accetta un bacio sulla guancia, si appoggia sulla sua spalla, poi torna al suo riserbo scontroso e ferito. Lui le rimbalza un’uguale contegno ombroso e torna a un altro articolo: “I ghiacci artici si assottigliano, la calotta polare sparirà nel 2020?”, si chiede la Gazzetta.
Se il pilota dell’andata era sceso verso Parigi con un atterraggio morbido come un budino, quello del ritorno sembra aver pensato, nei pressi di Malpensa, “cazzo, quasi mi dimenticavo di scendere” e pianta una discesa ruvida, che però non cambia la mia sensazione di leggera sonnolenza.
Terminal 2 di Malpensa. Sono in attesa della navetta che mi porterà al T1 (poi, da lì, due treni per Centrale e Codogno). Alla fermata li vedo. Non si parlano, lui accende una sigaretta e guarda lontano. Lei fa un gesto che vorrebbe essere definitivo, ma riesce solo ad apparire stanco, e torna dentro al Terminal.
Aspetto pochi secondi, poi entro pure io. Vorrei solo dirle “Mi scusi. Lei mi sembra terribilmente triste. Ed è brutto essere tristi e soli. Arriveremo ognuno alla nostra stazione, scenderemo senza sapere nulla l’uno dell’altro, ma io non voglio rimanere col dubbio della sua tristezza, o col dolore di non aver saputo o potuto fare nulla, per lei”
Ma lei non c’è. Aspetto fino a perdere la navetta (che invece prende il ragazzo) ma lei è sparita e non prenderà neppure la successiva. E’ sparita come Alice richiamata dal suo specchio, voglio pensare, verso un presente di sogno e migliore…
Peccato, il mio sarebbe stato solo un piccolo gesto, in definitiva utile più alla mia autostima che non al suo morale, ma sincero. Del resto l’importanza di certi piccoli gesti è proporzionale alla nostra impotenza a cambiare le cose. E, in fondo, si può davvero fare qualcosa per qualcun altro? “Chi lo sa, chi vuole saperlo? Non io. Non io, disse il ragno alla mosca. Non io.”

Francesco “baro” Barilli

(ad altri scovare le citazioni nel racconto…)

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