martedì 10 luglio 2012

Diaz, undici anni dopo: cose arrivate in ritardo e cose ancora da fare… E una speranza per dieci…

Ho aspettato qualche giorno a scrivere sulla sentenza di Cassazione sulla scuola Diaz: avrei voluto commentare, più che la sentenza (di cui, è chiaro, sono contento) le reazioni politiche, ma… queste non sono state molte: un segno dei tempi, su cui potremmo parlare a lungo; e soprattutto un segnale che mi rafforza in una personale convinzione: di fronte ai fatti di Genova la magistratura (pur con zone d’ombra su cui tornerò in seguito) ha dato le sue risposte, alcune addirittura clamorose. La politica al contrario non ha dato nulla, facendo una ben grama figura. E l’inerzia della politica non è, invece, segno dei tempi: parte da lontano… Come ho già avuto modo di scrivere, in quasi tutte le vicende che ho affrontato per reti-invisibili sono riscontrabili carenze (spesso qualcosa di ben peggiore) da parte della magistratura, ma niente paragonabile al “nulla sotto vuoto” della politica. E taccio di cose di cui già tante volte ho parlato in passato (le promozioni ai dirigenti, prima indagati e poi condannati; il rifiuto ad istituire una commissione d’inchiesta, anche durante il governo di centrosinistra; la mancata istituzione del reato di tortura e altro ancora…)

Ecco comunque alcune riflessioni sparse.

L’indipendenza della Magistratura
Undici anni sono tanti per un processo, per qualsiasi processo. Specie se si pensa che, lo dico per la Diaz ma vale pure per Bolzaneto, lo spettro della prescrizione ha depotenziato il risultato e rischiava di fare di peggio (ancora qualche mese…). E’ pacifico che qualche riflessione sui tempi della macchina della giustizia sarebbe doverosa, indipendentemente dal fatto che su Genova, e specialmente sulla Diaz, i tempi sono stati dilatati perché altri pezzi dello Stato hanno fatto di tutto per ostacolare o almeno rallentare (sempre nell’ottica di puntare alla prescrizione) i tempi della magistratura. E’ vero, inoltre, che non è possibile dare un giudizio univoco dei giudici genovesi: brucia ancora l’archiviazione dell’omicidio di Carlo Giuliani, e siamo ancora in attesa della sentenza definitiva a carico di alcuni manifestanti (a cui dedicherò un capitolo a parte).
Fermo restando tutto questo la sentenza Diaz resta qualcosa di clamoroso. Anche perché proprio la strategia “ostruzionistica” messa in campo, fra indagini e processo, dalle forze dell’ordine ha portato ad un effetto paradossale quanto significativo: per una volta le condanne hanno risparmiato la “bassa manovalanza”, colpendo il vertice della catena di comando (fatta eccezione per De Gennaro e per i referenti politici). Insomma, al di là dell’importanza specifica sul “caso Genova” la sentenza Diaz (ma anche quella d’appello su Bolzaneto, nonché alcuni giudizi del tribunale su violenze ai manifestanti – piazza Manin, Via Barabino ecc) è paradigmatica di quanto sia importante l’indipendenza della magistratura dagli altri poteri dello Stato.
Come anarchico non sono particolarmente vicino a qualsivoglia forma di “potere” (tranquilli: non v’annoierò filosofeggiando su anarchia e “stato di diritto”), ma non mi sfugge che – dal fascismo a Berlusconi passando per la Loggia P2 – tutti i progetti autoritari (diversamente modulati, ovvio) avevano fra le priorità la subordinazione del potere giudiziario all’autorità politica. L’indipendenza della magistratura fa paura alla politica e agli altri apparati del potere: questo è uno dei tanti “insegnamenti” del processo Diaz; non il più importante, ma comunque da tenere ben presente.

L’azione civile delle vittime e dei comitati genovesi
Altro elemento che nella storia della Diaz mi ha fatto sentire particolarmente vivo il filo rosso che unisce molte, se non tutte, le vicende che seguo per reti-invisibili è l’azione dei comitati genovesi (Verità e Giustizia per Genova e Piazza Carlo Giuliani). Per Piazza Fontana, Bologna, Piazza della Loggia Georgofili, così come per casi “singoli” (Fausto e Iaio come Pinelli o Ilaria Alpi… e molti altri…) l’ammirevole impegno dei familiari delle vittime, nella quasi totale inerzia delle istituzioni, è una costante: senza di loro non si riuscirebbe a conquistare neppure un brandello di verità e giustizia.

Le deboli “scuse” di Manganelli e quelle ambigue di De Gennaro
Sia chiaro: c’è differenza fra le “scuse” di Manganelli e le parole di De Gennaro. Su quest’ultimo ha già detto tutto Lorenzo Guadagnucci e non aggiungo altro. Dico solo che le ambigue parole di De Gennaro sono riuscite persino a svilire le pallide, ma per certi versi apprezzabili, “scuse” di Manganelli.
Non è il caso di discutere sulla sincerità dell’attuale capo della polizia: questo attiene la sua coscienza. E pure il ricordare atteggiamenti passati di Manganelli ci porterebbe fuori strada: non dimentico certe frasi infelici (alcune gravi, espresse proprio verso i pm che indagavano sulla Diaz) e neppure che quella difesa “corporativa”  e ostruzionistica dei funzionari di polizia va addebitata anche a lui (se non altro per il ruolo apicale che riveste da alcuni anni); ma ciò non toglie che proprio il suo ruolo apicale rende importante il gesto delle scuse.
Il vero punto è: ma di cosa chiede scusa?!
Perché, vedete, la mia impressione è che per Manganelli (ma così pure per molti commentatori, in buona o mala fede) tutto sia fermo a 11 anni fa; alle botte al plesso scolastico Diaz-Pertini-Pascoli; al massimo alle balle raccontate da agenti e funzionari per giustificare nell’immediato la “macelleria messicana” e per accusare i 90 e più fermati. Non è così: quanto accaduto è stato gravissimo, ma se le scuse sono rivolte, come credo, solo a quello non bastano. “Meglio di niente”, come si suol dire, ma gli undici anni trascorsi dalla notte cilena sembrano passati invano. Solo gesti concreti proiettati al futuro, tesi davvero a non far ripetere più quanto accaduto a Genova, servirebbero. Per citarne alcune:
- la definizione di regole per consentire la riconoscibilità degli operatori delle forze dell'ordine;
- il varo di una legge che preveda il reato di tortura;
- l’istituzione di un organismo “terzo” che vigili sull’operato dei corpi di polizia;
- l’aggiornamento professionale circa i principi della nonviolenza;
- l’impegno alla esclusione dell'utilizzo nei servizi di ordine pubblico di sostanze chimiche incapacitanti e l'impegno circa una moratoria nell'utilizzo dei GAS CS.
Su queste questioni Manganelli ha sempre taciuto, perdendo un’occasione irripetibile anche in occasione della Cassazione-Diaz: senza un serio impegno per il futuro la parola “scusa”, dopo un primo doveroso apprezzamento, resta una parola vuota (rischiando di diventare addirittura irridente)

Il timore che si voglia chiudere Genova con “un pareggio”
Il 13 luglio, quindi fra pochissimo, la Cassazione scriverà un’altra “parola definitiva” sui fatti di Genova. Stavolta alla sbarra sono dieci manifestanti, che rischiano davvero molto: il reato a cui sono stati condannati in appello (“devastazione e saccheggio”) è una fattispecie di reato che, dopo essere stata a lungo inutilizzata, è tornata d’attualità nell’intento di inasprire le sanzioni da comminare nei casi di disordini di piazza. Praticamente i dieci condannati sono stati trattati come fossero gli Unni di Attila: pene pesantissime, e stavolta, nel caso di conferma della sentenza, da scontare per intero: il salvagente della prescrizione e quello dei reati “individuati al ribasso” (paradigmatica la già menzionata mancata istituzione del reato di tortura, fondamentale – per gli agenti… – specialmente per Bolzaneto) non vale per i manifestanti… Checchino Antonini, con la consueta ruvida lucidità, ha scritto “dieci uomini e donne, che sembrano pescati nel mucchio tra i trecentomila dell'altromondo possibile, rischiano di pagare con un secolo di galera complessivo la straordinaria mobilitazione che tutta la società civile di allora mise in campo. All'indomani della sentenza sulle violenze inaudite all'interno della scuola Diaz, che ha decapitato la linea di comando della polizia di stato, si potrebbe verificare il paradosso che, per una vetrina rotta (di questo si tratta nel peggiore dei casi, o una bottiglia presa in un supermercato o una vespa presa per spostarsi dall'altra parte della città) si possano scontare da 8 a 15 anni di prigione, mentre per il massacro e l'arresto illegittimo di 92 persone inermi e innocenti non si sconta neppure un quarto d'ora di pena”: null’altro da aggiungere… Se non che quelle dieci persone non vanno lasciate sole: a tale proposito, vedere questo link.

Francesco “baro” Barilli

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