venerdì 25 giugno 2010

La tortura in Italia: un problema mai affrontato

Recentemente si è parlato del rifiuto da parte del governo di aderire ad alcune raccomandazioni del Consiglio dei diritti umani dell’Onu, fra cui l’inserimento del reato di tortura nel nostro ordinamento. Non se n’è parlato molto, a dire il vero, e pure quando lo si è fatto si sono registrate omissioni e imprecisioni.
Innanzitutto va precisato che nell’occasione ha suscitato scalpore il rifiuto opposto a una sollecitazione esplicita, ma l’Italia “fa spallucce” sul reato di tortura da più di vent’anni: la convenzione delle Nazioni Unite fu firmata nel 1984 e ratificata dall’Italia nel 1989. L’ignavia del mondo politico è dunque trasversale e tutt’altro che recente, anche se va ricordato che l’attuale centrodestra seppe distinguersi negativamente già nel 2004: alcuni ricoderanno le polemiche nate da un emendamento leghista che voleva che fossero definite torture le violenze e le minacce solo se “reiterate”.
L’argomento viene periodicamente ripreso, anche se con poco vigore, dagli organi di stampa. I fatti più recenti sono i casi Cucchi, Gugliotta, Uva; precedentemente se n’è parlato per le violenze alle caserme Raniero e Bolzaneto (dove, va ricordato, i giudici hanno rimarcato che la mancanza di quel reato ha comportato una ridefinizione “al ribasso” delle contestazioni agli imputati).
Ma possiamo andare anche più indietro nel tempo. Sommariamente ai primi anni ’80, quando per affrontare l’emergenza terrorismo lo Stato non si mostrò semplicemente “forte” (come vuole la retorica ufficiale, nell’ansia semplicistica di ricondurre quella stagione a una lotta del “bene” contro il “male”), ma si spinse sulla strada della ferocia. Questa degenerazione fu in parte palese, e portò a disposizioni che andarono a restringere la sfera dei diritti individuali, in parte sotterranea e sfociò nella pratica della tortura.
Nel 1982 l’allora ministro dell’interno Rognoni dovette rispondere a interrogazioni che possiamo riassumere in una sola: per battere il terrorismo erano stati superati i limiti posti come base della democrazia e dello stato di diritto? La risposta del ministro fu negativa. Del resto anche George W. Bush nel novembre 2005 disse perentoriamente “Noi non torturiamo”, incurante delle smentite fattuali avvenute prima e dopo quell’affermazione. Successivamente ammise di essere stato a conoscenza delle tecniche di interrogatorio usate nella lotta al terrorismo e di averle avallate. Si tratta di metodi (il più famoso è il waterboarding) sicuramente definibili come torture, ma dichiarati ammissibili “in punta di diritto” dall’amministrazione statunitense. Del resto già Blaise Pascal denunciava come la forza possa sostituirsi al diritto: “Non essendosi potuto fare in modo che quel che è giusto fosse forte, si è fatto in modo che quel che è forte fosse giusto”.
Tornando all’Italia degli anni ‘80, il numero e l’omogeneità delle denunce possono portare a una conclusione: le torture furono il frutto di una strategia, seppure non usata con continuità, tollerata in quanto l’efficacia dell’azione poteva andare a discapito dei principi. E si deve riflettere sulla circostanza che, sia nell’Italia di quel periodo sia negli USA della recente guerra al terrorismo, le torture sono state precedute dal restringimento normativo dei diritti. Dell’Italia si è già accennato; negli USA, Abu Ghraib e Guantanamo hanno seguito temporalmente il Patriot Act: le torture sono sempre conseguenza di un impalcato normativo emergenziale.
Può essere poco “politicamente corretto” ricordare le sevizie subite da alcuni terroristi nel periodo finale dei cosiddetti anni di piombo, ma va fatto, senza che questo significhi una giustificazione dell’operato di brigatisti e affini, se si vuole capire l’origine del “problema tortura” in Italia. Per questo ho voluto soffermarmi su questo aspetto, dimenticato e mai veramente affrontato. Non m’interessa chiedermi se quei metodi fossero o meno necessari: mi basta non farli cadere nel dimenticatoio. Non m’interessa analizzare se le mani che hanno contribuito a sconfiggere la lotta armata dovevano necessariamente affondare nel sangue o se potevano evitarlo: mi basta denunciare che l’hanno fatto, e ricordare che conseguentemente oggi non possono pretendere di profumare di mughetto.
In fondo, la tortura può essere efficacemente sintetizzata con questa frase di Leonardo Sciascia, terribilmente attuale: “Non c’è paese al mondo che ormai ammetta nelle proprie leggi la tortura: ma di fatto sono pochi quelli in cui le polizie, sottopolizie e criptopolizie non la pratichino. Nei paesi scarsamente sensibili al diritto – anche quando se ne proclamano antesignani e custodi – il fatto che la tortura non appartenga più alla legge ha conferito al praticarla occultamente uno sconfinato arbitrio”.

Francesco “baro” Barilli