domenica 10 gennaio 2010

Le clementine di Rosarno e la morte della politica

Alcune osservazioni sui fatti di Rosarno. Cercherò di essere il più possibile pragmatico. Con una premessa: per essere pragmatici bisogna chiamare le cose con il loro nome, senza inutili giri di parole.

1. Seguendo la premessa, in Italia forse non c’è (ancora) razzismo; sicuramente c’è xenofobia. Fra i due termini esiste differenza, anche se spesso vengono accostati come fossero sinonimi. Ricordiamoci però che la seconda è valida anticamera per il primo.

2. Se in Italia non c’è (ancora) razzismo, sicuramente c’è (purtroppo già ben radicata) la schiavitù. Che sia una schiavitù “light” poco conta: sono solo i segni del tempo (mica vi aspetterete di vedere le navi partire per l’Africa a catturare schiavi? Non dobbiamo neanche sforzarci: partono e si caricano da sole). Non solo esiste, ma è pure tranquillamente accettata, dalle istituzioni così come dalla “società civile”.

3. Quando gli schiavi si ribellano non lo fanno come fossero membri della Camera dei Lords. Si possono avere giudizi diversi su queste modalità di ribellione; si possono o meno attribuire gradi differenti di comprensione o attenuanti; ma non si può negare che queste ribellioni costituiscono l’unico elemento in grado di portare la schiavitù all’attenzione dell’opinione pubblica, sottraendola dal sommerso di ciò che non si vuole vedere.

4. Maroni dice che la situazione di Rosarno è figlia dell’eccessiva tolleranza verso l’immigrazione clandestina. Si possono fare molti commenti su questa affermazione (i miei ve li lascio immaginare), ma tutti devono partire da una semplice constatazione: dal 2001 l’Italia è governata stabilmente (fatto salvo un anno e pochi spiccioli del secondo governo Prodi) dal centrodestra.

5. In questi giorni si è parlato molto dello stipendio giornaliero dei migranti di Rosarno, occupati nella raccolta di agrumi: fra 20 e 25 euro al giorno, probabilmente ulteriormente impoveriti da una decurtazione per il “caporalato”. Forse sarebbe il caso di ricordare che c’è un nesso fra quanto viene pagato un lavoratore per raccogliere clementine e quanto paghiamo noi un kg di clementine.

6. La vera domanda quindi è: quanto siamo disposti a pagare un kg di clementine? La domanda, tanto banale da sfiorare la cretineria, diventa meno banale se per “costo” intendiamo anche “costo sociale”… Ma, tutto sommato, va bene anche se vi interrogate sul costo in euro del kg di mandarini che avete appena acquistato.

7. La politica è morta. Ciò che chiamiamo politica è il puzzo che si leva dal suo corpo in decomposizione. E’ il mercato che determina le dinamiche sociali e la soglia di accettabilità che intendiamo attribuire agli eventi. Nel caso Rosarno, ad esempio, quanto siamo disposti a pagare un kg di clementine ci dice se riteniamo o meno la schiavitù una “normale” evoluzione della società. In base alla nostra risposta possiamo capire se dal cadavere della politica possono emergere nuove forme di “arte di governare la società”, o se dobbiamo rassegnarci a vivere secondo quanto ci indica il dio-mercato.

Francesco “baro” Barilli

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