martedì 16 dicembre 2008

Filippo Facci, Piero Sansonetti e la riforma della giustizia

Alcuni giorni fa m’è capitato di assistere ad un dibattito televisivo su La7. Non l’ho guardato a lungo, giusto dieci minuti e a trasmissione già in corso. Nel momento in cui ho acceso la televisione stava parlando Piero Sansonetti. Il direttore di Liberazione, in sintesi, diceva che reputava poco interessante la discussione circa la riforma della giustizia. Inoltre, replicando probabilmente a una tesi proposta precedentemente, sosteneva che gli apparivano più gravi gli attacchi portati al sindacato, in particolar modo alla CGIL, da chi ne sostiene l’inutilità o la dannosità.
A questo punto interveniva Filippo Facci, giornalista de Il Giornale e, da quanto ho capito, collaboratore di Mediaset. Per riportare la discussione sul tema della giustizia, apriva il suo intervento dicendo che la presenza anche solo di un cittadino innocente in galera a causa di storture del sistema giudiziario gli pareva insopportabile e, soprattutto, motivo sufficiente per ritenere che la riforma fosse priorità assoluta.
Raramente mi sono trovato così combattuto di fronte ad una frase. In linea di principio, quella di Facci è un’affermazione ineccepibile, da sottoscrivere pienamente. Al limite se ne potrebbe discutere in termini filosofici: la giustizia umana è ben diversa da quella divina (per chi crede in quest’ultima) e non può prescindere da un tasso fisiologico di fallibilità. Questo però non toglie che la presenza in carcere di innocenti (cui aggiungerei le persone in attesa di giudizio) è cosa intollerabile. In fondo, l’unica e vera e fondamentale barriera fra garantismo e giustizialismo sta nel valutare i due pericoli fondamentali dell’amministrazione della legge (mandare in galera un innocente o lasciar libero un colpevole) ritenendo più grave il primo, in quanto comporta un danno irrisarcibile per chi vi è coinvolto. Inoltre, la consapevolezza di quanto sia inevitabile quel tasso di fallibilità non rende vana la ricerca di ogni mezzo affinché la “macchina giustizia” proceda nel modo più imparziale possibile, confinando la possibilità di errori ai soli limiti della natura umana, e non a vizi insiti nel sistema o a sperequazioni del giudizio.
Ferme restando queste riflessioni, non posso nascondere che se a parlarmi di una necessità della riforma della giustizia è il centrodestra mi viene più di un dubbio, e non si tratta di pregiudizi.
Mesi fa ho intervistato il padre di Giuseppe Bianzino. Chi propone oggi la riforma della giustizia pensa, come me, che suo figlio in carcere non solo non doveva morirci, ma neppure finirci? Pensa sia necessario provvedere alla depenalizzazione di certi reati o crede si debbano perseguire, ad esempio, i writers? Che opinioni ha del reato di devastazione e saccheggio o del principio della compartecipazione psichica (reato e principio utilizzati dalla magistratura per i fatti di Genova 2001 o quelli di Milano dell’11 marzo 2006)? Un elenco tutt’altro che esaustivo, potrei proseguire a lungo: si tratta di domande a mio avviso fondamentali, ma allo stato totalmente rimosse dal confronto “riforma sì – riforma no” che si è acceso in merito all’azione della magistratura.
Tutto questo, ripeto, non inficia l’enunciazione di principio avanzata da Facci in quella trasmissione televisiva. Resta però l’impressione che dietro il dibattito sulla necessità di una riforma della magistratura stiano semplicemente esigenze di controllo di uno dei poteri dello Stato, nell’intento di sottoporre la giustizia ad una supervisione (nel migliore dei casi) o ad un controllo subordinato (nel peggiore) che non la renderanno più equa, ma solo meno indipendente. In quest’ottica è interessante chiedersi se la presenza di un innocente in galera sia davvero inaccettabile, o se lo diventi in base a specificità dell’arrestato o a contingenze politiche del momento.

Francesco “baro” Barilli