lunedì 10 settembre 2007

Il V day di Grillo parte da un fumetto. Male interpretato…

Chi ha commentato il “V day” di Beppe Grillo si è soffermato sugli stessi aspetti: i contenuti lanciati dal comico genovese e le modalità espressive di questa forma del fare politica, oscillante fra denuncia e qualunquismo. In particolare, tutti hanno sottolineato cosa sottintendeva la lettera V, quel “vaffa” che l’italiano medio, stanco del teatrino della politica, urlerebbe a destra e manca. Ma c’è un altro aspetto, ingiustamente sottovalutato, di quella lettera: Beppe Grillo ha scelto come simbolo della propria iniziativa una V particolare fin dal segno grafico, che richiama (come ha riconosciuto lui stesso) un recente film dei fratelli Wachowski e, soprattutto, il protagonista del ben più riuscito romanzo a fumetti che lo ispirò.
Il libro di cui parlo è “V for Vendetta” di Alan Moore. Scritto nei primi anni ’80, è ambientato in un’Inghilterra del futuro, dove una dittatura pone i cittadini sotto il controllo costante delle telecamere, perseguitando oppositori politici, gay, “razze inferiori”. “V” è un personaggio poliedrico: poeta, intellettuale, anarchico, maestro di vita… Persino terrorista: la sua prima azione è radere al suolo con una carica di esplosivo il parlamento inglese, come tentò di fare nel 1605 Guy Fawkes, personaggio cui non a caso “V” si richiama, indossando una maschera che ne raffigura il volto.
Nel fumetto l’eroe arriva dal nulla; solo nel prosieguo del racconto scopriremo – peraltro solo parzialmente – la sua origine, non la sua identità né il suo volto, mantenuto nascosto dietro la maschera di Fawkes. “V” incontrerà la morte, ma in modo consapevole e non senza aver lasciato la propria eredità ideale a Evey, la sua protetta, e soprattutto dopo aver pesantemente colpito la dittatura inglese ed aver risvegliato l’autocoscienza popolare. L’autore non ci mostra gli sviluppi nella società inglese, ma ci lascia intendere che a quel punto la missione dell’eroe è compiuta: sta alla gente far sbocciare e mantenere in salute il seme della libertà che l’eroe ha conficcato nel terreno.
Proprio qui stanno le differenze tra il personaggio di “V for Vendetta” e il “V day”. Grillo dà un volto – il suo – all’eroe che dovrebbe risvegliare la coscienza civile. “V” nega l’importanza al proprio volto e al proprio nome, rifuggendo dal personalismo; cerca di risvegliare le coscienze del popolo inglese, narcotizzato da una dittatura in cui Alan Moore distorce e amplifica gli effetti delle politiche Thatcheriane, contemporanee alla genesi del suo fumetto; rilancia la disobbedienza civile e aiuta gli inglesi a riscoprire la complessità e l’utilità del pensiero indipendente.
Grillo riprende la rabbia dell’eroe di Alan Moore, non la sofferta complessità. Se per “V” gli intellettuali (intendendo con questo termine chiunque sappia usare il proprio pensiero con metodo e senza condizionamenti) sono da risvegliare, Beppe Grillo sembra testimoniare che in Italia essi non hanno alcun valore o utilità, apparendo al massimo come una presenza ingombrante. L’emulo di Guy Fawkes incita alla ribellione, ma come primo passo verso una società più giusta, mentre l’iniziativa del comico genovese mantiene solo la furia iconoclasta del “V” di Alan Moore, lasciando indefiniti i passi successivi. Nella migliore delle ipotesi questi sembrano affidati allo spontaneismo, nella peggiore prospettano un tunnel di cui lo sbocco non si vede, ma se ne può temere il populismo.
Grillo, insomma, semplifica la V di Alan Moore; ma da “Vendetta” a “Vaffanculo” il passo non è breve. E le derive del “V day” incutono persino più timore di quelle bombarole degli inizi di “V”.

domenica 2 settembre 2007

ricordando Renato e i suoi sogni

Lo confesso: fino a ieri Focene non sapevo nemmeno dove si trovasse di preciso. Però sapevo già che era un posto come via Mancinelli o via Brioschi a Milano, via Ippodromo a Ferrara, piazza Alimonda a Genova; stazioni di una via crucis particolare e laica. Quando le raggiungo per la prima volta è sempre lo stesso: "E' qui che è successo, sai?". E' qui che ci sono stati portati via Fausto, Iaio, Federico, Dax, Carlo, Renato. Ogni volta sforzo un sorriso un po' imbarazzato mentre m'avvicino a Patrizia, Haidi, ora a Stefania. "Ciao, sono qui... Tu come stai?", le dico; difficile immaginare una domanda più cretina.
Focene, sembrerà strano, a me appare "bella", bella nel suo non essere turistica. Difficile immaginarla ordinata nelle cartoline "Saluti da..." di una tabaccheria; più facile pensarla meta di accaldati romani che trovano refrigerio nei fine settimana; meglio ancora invasa da coppiette che si scambiano tenerezze o da ragazzi in una festa dal tramonto a tarda notte. Quasi impossibile immaginarla teatro di un mortale agguato fascista. Eppure è così. "E' qui che è successo, sai?". Come in piazza Alimonda o in via Ippodromo.
E' come visitare i luoghi di una guerra, che in molti nemmeno sanno essere in corso. Se visiti quei luoghi sembra che stai cercando di piegare quella guerra fino a farle avere un senso. Ma non c'è un senso, se non quello di riconoscere che quella guerra esiste: subdola e a bassa intensità, le sue vittime le reclama ogni volta. E ogni volta, proprio come in un conflitto "tradizionale", alle vittime fisiche si aggiunge quella impalpabile ma importantissima della verità; abbattuta in diversi modi, magari derubricando un'aggressione politica a semplice rissa. E' già successo, e succederà ancora se non sapremo alzare il livello di attenzione e fare un salto di qualità nella nostra militanza antifascista. E' anche questo che ci dice - con parole più toccanti e di grande impatto - un reading a due voci in questa sera di fine estate. Mentre il tramonto si spegne, sulla spiaggia di Focene ma non sui sogni di Renato.